Dai pasti dei patriarchi al banchetto finale: come il cibo crea comunità
Chiunque abbia letto la Bibbia sa che il cibo ha un ruolo particolare nello sviluppo del dramma della storia redentiva. Lo troviamo nel primo capitolo dell’Antico Testamento quando Dio mise il cibo nell’ordine della creazione (Genesi 1:29). Lo si vede quando Melchisedec fece portare del pane e del vino per Abraamo (Genesi 14:18). Ancora il cibo è presente quando il popolo di Dio si apprestò a uscire dall’Egitto nella preparazione dell’esodo, quando gli israeliti consumarono il primo pasto pasquale (Esodo 12). Lo si vede quando Israele era nel deserto e Dio fornì miracolosamente manna e quaglie (Esodo 16).
Di nuovo nella legge cerimoniale di Mosè che era in gran parte basata sul cibo (Levitico 11; Deuteronomio 14). E nei salmi che lodano Dio per aver provveduto da mangiare (Salmi 104:14-15, 27-28; 145:15-16; 147:8-9). Poi, nel Nuovo Testamento, incontriamo il Figlio di Dio che mangia e beve. Come dice Robert Karris: “Nel Vangelo secondo Luca, Gesù va a tavola, è a tavola o viene dalla tavola”.[1] Troviamo il cibo anche nei suoi prodigi di trasformare l’acqua in vino (Giovanni 2:1-12) e moltiplicare pane e pesce (Matteo 14:13-21). Lo si vede nella notte in cui nostro Signore fu tradito, quando Egli istituì un sacramento con il cibo, un pasto santo che nutre la chiesa fino al suo ritorno (1 Corinzi 11:23-26). Lo si vede in quella scena meravigliosa dopo la risurrezione di Cristo, quando Egli disse ai suoi discepoli: «Venite a fare colazione» (Giovanni 21:12) e mangiò con loro pesce e pane. Infine, il cibo è presente nella visione di Giovanni della cena delle nozze dell’Agnello, quando la chiesa trionfante siede a banchettare alla presenza del Signore (Apocalisse 19:1-9). Dalla Genesi all’Apocalisse, il cibo è al centro della celebrazione di Dio e della vita comunitaria del popolo di Dio.
Perché? Perché Dio usa il cibo nella vita del suo popolo per creare comunità? Sviluppare una teologia biblica completa del cibo va oltre lo scopo di questa riflessione. Tuttavia, per rispondere a questa domanda, voglio fare tre brevi osservazioni. Per mezzo del cibo, Dio ci mostra il nostro bisogno di Lui, il nostro bisogno gli uni degli altri e il nostro bisogno di Cristo.
I. Per mezzo del cibo Dio ci mostra il nostro bisogno di Lui.
Nel principio Dio creò un mondo in cui ogni essere umano doveva mangiare. Nel racconto biblico della creazione, l’uomo è presentato come un essere affamato. Con il comando di essere fecondo e moltiplicarsi, Dio ordinò all’uomo di mangiare: «Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, e ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento» (Genesi 1:29). Dio avrebbe potuto crearci come creature che si nutrono con la fotosintesi, che si siedono al sole per un po’ e ricevono tutta l’energia di cui hanno bisogno e poi tornano al lavoro. Invece, ci ha creati come creature che mangiano. Questa è una buona cosa, poiché dirige l’attenzione alla nostra finitudine e dipendenza dal nostro Creatore. Come afferma Norman Wirzba nel suo eccellente libro Food and Faith: A Theology of Eating:
Ogni volta che le persone vengono alla tavola, dimostrano con le prove inconfondibili del loro stomaco che non sono autosufficienti. Sono creature finite e mortali che dipendono dai molti buoni doni di Dio: luce solare, decomposizione, fertilità del suolo, acqua, api e farfalle, galline, pecore, mucche, giardinieri, contadini, cuochi, estranei ed amici (la lista potrebbe continuare all’infinito).[2]
In altre parole, il cibo ci mostra che, come essere umani, condividiamo la nostra dipendenza dal Dio che ha creato dal nulla cielo e terra con tutto ciò che è in essi, e che li sostiene e li governa mediante il suo eterno consiglio e la sua provvidenza. Il cibo è una testimonianza del nostro bisogno di Dio. Dobbiamo mangiare per vivere, e dipendiamo da Dio per mangiare. Ecco perché nostro Signore ci ha insegnato a pregare: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Matteo 6:11).
Dal punto di vista cristiano, tuttavia, il godimento dei pasti e la comunione con Dio non sono proprio separabili. Siamo stati creati come esseri che hanno fame, e ciò di cui abbiamo fame è Dio.
Eppure, il cibo è più di una semplice batteria per far funzionare il nostro corpo. Oltre a fornire nutrimento, il cibo soddisfa alcuni dei desideri dell’anima umana. “Se consideriamo perché Dio ha creato gli alimenti”, disse Giovanni Calvino, “vedremo che egli non ha soltanto voluto provvedere alle nostre necessità, ma anche al nostro piacere e diletto”.[3] Come l’uomo ha bisogno di nutrimento per vivere, ha bisogno anche di gioia. Non possiamo vivere senza gioia. Il fatto che il cibo possa suscitare grande gioia è segno che Dio ce lo ha donato come dono del suo amore e come dichiarazione della sua bontà. Per questo il salmista loda il Signore con ringraziamento:
«Egli fa germogliare l’erba per il bestiame, le piante per il servizio dell’uomo; fa uscire dalla terra il nutrimento: il vino che rallegra il cuore dell’uomo, l’olio che gli fa risplendere il volto e il pane che sostenta il cuore dei mortali… Tutti quanti sperano in te perché tu dia loro il cibo a suo tempo. Tu lo dai loro ed essi lo raccolgono; tu apri la mano e sono saziati di beni» (Salmo 104:27-28).
Non c’è quindi da meravigliarsi che il cibo accompagni solitamente le occasioni di festa. La sua capacità di fornire nutrimento e gioia è fondamentale per la nostra esistenza come esseri umani.
Dal punto di vista cristiano, tuttavia, il godimento dei pasti e la comunione con Dio non sono proprio separabili. Siamo stati creati come esseri che hanno fame, e ciò di cui abbiamo fame è Dio. Questa era la lezione che Dio cercò di insegnare a Israele nel deserto mentre gli dava da mangiare la manna. La manna veniva data come risposta ai loro bisogni fisici, ma anche aveva l’effetto di metterli alla prova per vedere se si sarebbero fidati di Dio. «Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che vive di tutto quello che procede dalla bocca del Signore» (Deuteronomio 8:3). La provvidenza di Dio sostiene l’uomo e l’esistenza dell’uomo non dipende solo dal cibo. In verità, gli israeliti avrebbero avuto bisogno di mangiare di nuovo, dimostrando che il cibo non procura la massima soddisfazione. Il cibo sostiene solo per un po’ di tempo, ma il vero nutrimento viene da Dio stesso.
Forse Robert Farrar Capon l’ha detto meglio nella sua opera eccentrica, The Supper of the Lamb: A Culinary Reflection: “Certo, il cibo ci mantiene in vita, ma questo è solo il suo lavoro più piccolo e temporaneo. Il suo scopo eterno è quello di fornire la nostra sensibilità per il giorno in cui ci siederemo al banchetto celeste e vedremo quanto è buono il Signore. Il nutrimento è solo per un po’; ciò di cui avremo bisogno per sempre è il gusto!”[4] Dietro tutta la fame della nostra vita c’è Dio. Il nostro corpo è affamato finché non mangia, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Dio. Quindi, in ogni pasto che il credente consuma, risuona l’esortazione del salmista: «Gustate, e vedete quanto il Signore è buono!» (Salmo 34:8).
Per mezzo del cibo, dunque, Dio ci mostra il nostro comune bisogno di Lui, sia nel corpo che nell’anima. In questo modo, il cibo crea comunità. Ci sono molte cose nella vita che possono coltivare un senso di comunità, come una partita di calcio o un concerto di musica. Ma il cibo è unico in quanto soddisfa un bisogno umano fondamentale, cioè il nutrimento e la gioia, che testimoniano entrambi il nostro bisogno più grande di godere per sempre della comunione con Dio.
II. Per mezzo del cibo Dio ci mostra il nostro bisogno gli uni degli altri.
Come esseri umani, viviamo in relazioni interdipendenti. Ogni essere umano ha bisogno di altri esseri umani, dalla nascita alla morte. Non possiamo vivere in solitudine e puro individualismo. In poche parole, abbiamo bisogno di amore. Abbiamo bisogno del conforto della famiglia, degli amici e dei vicini. Ognuno di noi ha un innato bisogno di dare amore agli altri e riceverlo dagli altri. Questo è vero perché siamo creati a immagine del Dio che esiste dall’eternità in tre Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. In sostanza ciò significa che Dio è relazione. Egli ha in sé stesso una comunità perfetta tra le Persone divine, che vivono in splendida devozione gli uni con gli altri, dando e ricevendo amore nella relazione eterna della Trinità. La vita della Trinità non è caratterizzata da egocentrismo bensì da amore oblativo reciproco. Dio ha creato gli esseri umani perché siano un’analogia di sé stesso. In quanto esseri creati a immagine del Dio uno e trino, siamo stati creati per donarci e amarci vicendevolmente.
I pasti sono al centro della nostra comunione come esseri umani. Condividere un pasto è un’occasione semplice ma sacra, poiché è un’espressione d’amore e un’opportunità per entrare nella vita comune.
I pasti, quindi, sono al centro della nostra comunione come esseri umani. Condividere un pasto è un’occasione semplice ma sacra, poiché è un’espressione d’amore e un’opportunità per entrare nella vita comune. Come osserva Wirzba: “mangiare in accordo con l’‘ispirazione trinitaria’ significa che mangiamo per condividere e nutrire la vita...si tratta di estendere l’ospitalità e fare spazio affinché gli altri trovino la vita mentre condividiamo la nostra...è un invito ad entrare in comunione e ad essere riconciliati gli uni con gli altri».[5] Oltre a fornire nutrimento, il cibo comunica la condivisione della nostra vita comune. Questo è vero nel caso dei pasti quotidiani con la nostra famiglia e gli amici, ma è particolarmente sottolineato nell’atto di ospitalità verso coloro che hanno bisogno di essere accolti. L’accoglienza ospitale nella Bibbia è fondamentalmente intesa come un’apertura e disponibilità interiore dell’uomo ad accogliere ed ospitare l’altro. Nell’ospitalità, Dio ci usa come strumenti per nutrire e benedire gli altri. D’altra parte, quando siamo i destinatari dell’ospitalità, vediamo il nostro bisogno degli altri. Loro indossano la maschera di Dio che provvede ai nostri bisogni.
Che Dio si compiaccia dell’ospitalità è evidente in quella curiosa scena della Genesi 18 in cui Egli accetta l’ospitalità di Abraamo. Nella forma di un uomo, il Signore apparve ad Abraamo per fare l’annuncio della nascita di Isacco. Però, non fece semplicemente il suo annuncio per poi andarsene. Invece, rimase con Abraamo per un po’, mangiando, bevendo e parlando. Inoltre, la preoccupazione di Dio per l’ospitalità è evidente nel suo comando agli israeliti di condividere il loro cibo con il Levita, lo straniero, l’orfano e la vedova (Deuteronomio 14:29). Poi, nel Nuovo Testamento, Dio comanda al suo popolo che «l’amore sia senza ipocrisia» e di esercitare «con premura l’ospitalità» (Romani 12:9, 13; cfr. Ebrei 13:2; 1 Pietro 4:9). Quindi, attraverso l’ospitalità e la condivisione dei pasti, noi riflettiamo l’amore che le divine Persone del Dio uno e trino condividono l’una con l’altra. In questo modo, Dio utilizza il cibo per mostrarci il nostro bisogno l’un l’altro.
III. Per mezzo del cibo Dio ci mostra il nostro bisogno di Cristo.
Non intendo dire che il cibo sia un tipo di rivelazione speciale mediante la quale possiamo comprendere il Vangelo. Invece, Dio usa la metafora del cibo per comunicare il nostro bisogno di Cristo. Ad esempio, in Isaia 55:1-3, Dio rinnovò il suo patto di grazia con Israele invitandolo a un pasto:
O voi tutti che siete assetati, venite alle acque; voi che non avete denaro venite, comprate e mangiate! Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte! Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia? Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò che è buono, gusterete cibi succulenti! Porgete l’orecchio e venite a me; ascoltate e voi vivrete; io farò con voi un patto eterno, vi largirò le grazie stabili promesse a Davide.
Sebbene Israele avesse infranto il patto Mosaico e presto avrebbe subito la maledizione dell’esilio, fu invitato a godere della comunione di Dio attraverso il suo patto eterno di grazia, cioè quel patto che il Signore fece con Abraamo (Genesi 15; 17:1-14) e, successivamente, con Davide (2 Samuele 7:1-17).
Tali inviti a Israele si trovano in tutto il libro di Isaia. Ciò che è notevole in questo, tuttavia, è l’analogia che Dio fa dell’udito con il mangiare. Egli usa deliberatamente immagini gastronomiche per descrivere i benefici contenuti nelle sue promesse evangeliche.
Le bevande di cui parlava Isaia – acqua, latte e vino – divennero scarse in Israele mentre soffrivano le maledizioni del patto per la loro disobbedienza (Deuteronomio 28:18, 24, 30, 33, 39, 51). Acqua, latte e vino corrispondono rispettivamente ai nostri bisogni umani di ristoro, nutrimento e gioia. Senza acqua, non ci sarebbe vita. Senza le proteine presenti nel latte, non potrebbe esserci crescita. E senza vino – beh, vogliamo davvero immaginare un mondo senza vino? Dio ha donato il vino come espressione della sua bontà per rallegrare il cuore dell’uomo. Senza vino, saremmo privati di colore, bellezza e gioia in questo presente secolo malvagio. Mentre Israele affrontava la distruzione, l’uso di queste immagini da parte di Dio non avrebbe potuto essere più opportuno. Ciò che l’acqua, il latte e il vino fanno per noi fisicamente, il Vangelo lo fa spiritualmente. Ci ricarica con l’acqua viva di Cristo (Giovanni 4:14; 7:37-38), ci nutre perché possiamo crescere «per la salvezza» (1 Pietro 2:2), e fa gioire i nostri cuori nella promessa della vita glorificata (1 Pietro 1:8).
Secondo Gesù, se vogliamo la vita eterna, dobbiamo nutrirci di lui.
Questo è diventato molto più chiaro con la venuta di Cristo e il nuovo patto in cui Lui è il Mediatore. La disubbidienza del primo Adamo quando mangiò di qualcosa che Dio aveva proibito (cioè dall’albero della conoscenza del bene e del male), risultò nella condanna e nella morte dell’umanità intera. Invece, l’ubbidienza dell’ultimo Adamo, ossia Cristo, che disse «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua» (Giovanni 4:34) consegue la giustificazione e la vita per tutti quelli che confidano in lui. Di conseguenza, nel nuovo patto, Cristo si dona a noi come vero cibo attraverso i mezzi ordinari della Parola e del Sacramento.
Questo era il punto di Gesù quando disse: «Io sono il pane vivente che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò per la vita del mondo è la mia carne» (Giovanni 6:51). Il punto di Gesù è che l’umanità ha un bisogno più grande del cibo, cioè la comunione con Dio che è possibile solo attraverso Cristo, il Pane della vita. Nessun altro “pane” di cui noi godiamo in questa vita può fare per noi ciò che Cristo ha fatto! Ecco perché Gesù disse:
In verità, in verità vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui (Giovanni 6:53-56).
Quindi, secondo Gesù, se vogliamo la vita eterna, dobbiamo nutrirci di lui.
Ma poi, nella notte in cui Gesù fu tradito, durante la Pasqua ebraica, il nostro Signore disse qualcos’altro: «Poi prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: “Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi”» (Luca 22:19-20). Dicendo questo, Gesù stava designando se stesso come il vero Agnello della Pasqua ebraica, la cui morte avrebbe liberato il popolo di Dio dalla schiavitù del peccato. L’apostolo Paolo spiega il significato di questo pasto in 1 Corinzi 10:16: «Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse la comunione con il sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo non è forse la comunione con il corpo di Cristo?» La parola “comunione” (che in greco è koinania) significa “partecipazione”; mette in luce la nostra unione e condivisione comunitaria nell’effettivo corpo e sangue di Cristo. Mentre c’è davvero un’importante dimensione orizzontale della koinania, vale a dire, la nostra comunione reciproca nella chiesa (v.17), è la dimensione verticale della nostra koinania con il Cristo fisico e glorificato (v.16) che diventa il fondamento della nostra koinania orizzontale.
Perciò, secondo la Bibbia, la Santa Cena è molto di più di un ricordo della morte di Cristo. Anzi, è un vero mezzo della grazia santificante di Dio che sostiene la fede del credente facendolo entrare in comunione con il corpo e il sangue di Cristo. È lo Spirito Santo che rende possibile ai credenti sulla terra di ricevere tutto il Cristo in cielo, dove Egli è rimasto nostro Signore dalla sua ascensione. È lì nel vero tabernacolo, dove Cristo «ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nei luoghi celesti» (Ef 2:6), che Egli ci nutre con il suo corpo e il suo sangue, così come riceviamo il pane e il vino sulla terra. In altre parole, godiamo la vita nel corpo di Cristo (cioè la Chiesa) perché riceviamo la vita dal corpo e dal sangue di Cristo mentre Egli si dona a noi nel pasto della comunione.
Ogni settimana nel culto, Cristo ci convoca ad una festa e ci mostra ospitalità, imbandendo la tavola nel deserto e mettendo davanti a noi buon cibo e bevande per l’anima, cioè la predicazione della sua Parola e la comunione della sua Mensa. Questi sono i mezzi di grazia che Egli ha ordinato per darci ristoro, nutrimento e gioia durante questo secolo malvagio. Questo è il pasto che anticipa quel grande banchetto che Dio ha promesso a tutti coloro che sono in Cristo:
Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli su questo monte un convito di cibi succulenti, un convito di vini vecchi, di cibi pieni di midollo, di vini vecchi raffinati. Distruggerà su quel monte il velo che copre la faccia di tutti i popoli e la coperta stesa su tutte le nazioni. Annienterà per sempre la morte; il Signore, Dio, asciugherà le lacrime da ogni viso, toglierà via da tutta la terra la vergogna del suo popolo, perché il Signore ha parlato. In quel giorno si dirà: «Ecco, questo è il nostro Dio; in lui abbiamo sperato ed egli ci ha salvati. Questo è il Signore in cui abbiamo sperato; esultiamo, rallegriamoci per la sua salvezza!» (Isaia 25:6-9)
Questo articolo è stato originariamente un intervento del Rev. Michael Brown alle Giornate teologiche dell’IFED – 8-9 settembre 2023
[1] Robert J. Karris, Eating Your Way through Luke’s Gospel, Liturgical Press, Collegeville, 2006, p.14. “In Luke’s Gospel Jesus is either going to a meal, at a meal, or coming from a meal.”
[2] Norman Wirzba, Food and Faith: Atheology of Eating, Cambridge University Press, Cambridge, 2011, p.2.
[3] Giovanni Calvino, Istituzione della religione cristiana, UTET, Torino, 1971, III.x.2, p.867.
[4] Robert Farrar Capon, The Supper of the Lamb: A Culinary Reflection, The Modern Library, New York, 2002, p.40.
[5] Wirzba, Food and Faith, p.11. “Trinitarian-inspired eating means that we eat to share and nuture life...it is about extending hospitality and making room for others to find life by sharing our own…it is an invitation to enter into communion and be reconciled with each other."